Come annunciato da una stampa sempre più asservita, il governo Monti ha varato il decreto legge che concretizza la cosiddetta spending review, cioè il dimagrimento forzato delle amministrazioni pubbliche in nome, naturalmente, del “risanamento del debito”.
27 miliardi di euro di tagli da qui al 2014 tra Ministeri, Enti locali, regioni e Sanità, riduzione di dirigenti (20%) e lavoratori (10%) attraverso lo strumento della mobilità obbligatoria. Tutto ciò arriva dopo l’approvazione del “Fiscal Compact” e la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio imposta dall’Unione Europea ai paesi membri.
L’obiettivo è chiaro e rivendicato ideologicamente dal Governo dei Professori: approfittare della crisi per regolare definitivamente i conti con il movimento dei lavoratori. Dopo aver “sistemato” i lavoratori delle aziende private con la demolizione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, dopo aver massacrato e precarizzato tutto il mondo del lavoro dipendente con la “controriforma” delle pensioni varata nel dicembre scorso, oggi è il turno del lavoro pubblico.
Colpire il lavoro pubblico significa massacrare quel poco di surrogato indecoroso di stato sociale esistente in Italia. Massacrare lo stato sociale significa colpire due volte tutto il lavoro dipendente. Quindi quanto sta accadendo non riguarda solo il “pubblico” contro cui negli anni scorsi è stata condotta una vergognosa campagna di denigrazione e criminalizzazione (lavativi, fannulloni, parassiti) addirittura messi sullo stesso piano della casta politico economica, pronta a scattare quando si tratta di conservare i propri privilegi, quelli sì veri e significativi…
Con l’aggressione all’articolo 18 scompaiono le tutele dai licenziamenti arbitrari e con essi si demoliscono gli ammortizzatori sociali e si precarizza ancora di più il lavoro dipendente.
Con la micidiale combinazione di “spending review” e mobilità obbligatoria nel Pubblico impiego si demoliscono garanzie per chi lavora e prestazioni sociali per tutti e tutte.
I padroni e il governo riescono a procedere con la complicità (oltreché ovviamente dell’intero schieramento politico parlamentare) anche e soprattutto di Cgil, Cisl, Uil e Ugl che emettono qualche belato di protesta per salvarsi la faccia e un po’ di consenso nei confronti della propria base sindacale ma si guardano bene dal chiamare seriamente i lavoratori alla lotta, dura, immediata e prolungata per bloccare questo decreto ed impedire che diventi legge dello Stato. D’altra parte sull’articolo 18 e prima ancora sulle pensioni abbiamo assistito allo stesso film.
Anzi, con il governo, Cgil, Cisl, Uil e Ugl hanno pure firmato un “Protocollo” per applicare le modifiche dell’articolo 18 ai lavoratori pubblici…
Bisogna dire basta, bisogna mobilitarsi. E’ un compito che ricade su tutto il sindacalismo conflittuale, su tutti i i delegati e le delegate Rsu che vogliano rispondere positivamente alla frustrazione e alla rabbia che monta tra i lavoratori r e le lavoratrici.
Bisogna unire ciò che i padroni vogliono dividere. I lavoratori privati con quelli pubblici, i precari con quelli a tempo indeterminato, i giovani e le donne con gli anziani e gli esodati, i migranti con gli autoctoni.
Sì, i tanti lavoratori migranti, perché quel che abbiamo visto a Basiano, provincia di Milano qualche settimana fa (il massacro dei migranti in sciopero contro le false cooperative di veri negrieri) non riguarda soltanto loro ma allude al futuro di tutti noi.
Per far passare la politica lacrime e sangue dei governi e delle borghesie europee se non saranno sufficienti sindacati complici, giornali asserviti, partiti corrotti, entreranno in campo loro, quelli vestiti di blu e di nero che hanno il compito di disciplinare con la violenza chi non vuole piegare la testa.
E loro oggi saranno utilizzati non tanto contro i no global o i black block, ma direttamente contro quelli che vivono del proprio lavoro o della propria precarietà ed a cui viene imposto di pagare una crisi di cui non hanno alcuna responsabilità. Si chiama “politica di austerità” e si pratica in tutta Europa.
Sta a noi dire basta e fare come in Grecia: si sciopera, si lotta, si occupa, si manifesta. E non si chiede il permesso a nessuno per poterlo fare. O vincono loro questa partita e siamo tutti ributtati indietro di cinquanta anni. In un mondo peggiore, più diseguale, autoritario, invivibile. O vinciamo noi, e possiamo ricominciare a sperare in un mondo migliore e più giusto e a pensare ed agire per costruire le alternative possibili.
Sinistra Critica
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