venerdì 26 ottobre 2012

IL LAVORO E LE AZIENDE SONO UN BENE COMUNE, VOGLIAMO LA PROPRIETA PUBBLICA E IL CONTREOLLO DEI LAVORATORI E DELLE LAVORATRICI


Lavoratrici e lavoratori in Italia e in tutta Europa stanno subendo un terribile attacco da parte di padroni e governi: diritti economici e sociali, salari, pensioni, occupazione stabile, scuola, sanità sono cancellati o drasticamente ridotti. E’ un vero massacro sociale che non ha mai fine e serve solo a trasferire ulteriori ricchezze ai profitti e alle rendite finanziarie ( 3.500 miliardi regalati alla banche europee!!)
Nel nostro paese la disoccupazione è all’11% per cento, la precarietà è raddoppiata e favorisce il supersfruttamento dei lavoratori con salari di merda e orari impossibili, le fabbriche chiudono e ristrutturano licenziando migliaia di lavoratori, gli ammortizzatori sociali sono ridotti, 250.000 “esodati” sono senza lavoro e senza pensione.
Non c’è casualità in queste vicende, sono il prodotto dei meccanismi infernali del sistema capitalistico, delle scelte del padronato e delle manovre economiche dei suoi governi (prima Berlusconi e poi Monti).
Invece di costruire la lotta e lo sciopero generale richiesto da tanti lavoratori si è lasciato volutamente mano libera al governo Monti che ne sta facendo di cotte e di crude (vedi anche la recente legge finanziaria).
Inoltre sta andando in onda l’ennesima truffa contro i lavoratori: una trattativa tra governo, forze sindacali e associazioni padronali sulla produttività che ha una sola finalità : diminuire i salari e aumentare gli orari. Chiediamo con forza alla direzione della CGIL, di rompere questa trattativa a perdere se vuole veramente “il lavoro prima di tutto”.
Di fronte a una situazione così drammatica, per difendere l’occupazione non possono bastare misure parziali, anche se necessarie, come l’estensione degli ammortizzatori sociali, tanto meno chiedere ai padroni di “essere buoni” di investire e creare lavoro, quando ogni giorno fanno l’esatto contrario.
Servono misure molto più radicali: il lavoro, le aziende, certe produzioni, il futuro di interi territori sono un bene comune e pubblico e solo la mano pubblica può preservarle e garantirle. Per questo è necessario:
o imporre il blocco dei licenziamenti;
o nazionalizzare le aziende che chiudono, licenziano e fuggono all’estero;
o distribuire il lavoro esistente tra tutti i lavoratori che ne hanno bisogno (riduzione di orario a parità di salario);
o garantire una salario sociale a disoccupati e precari che permetta loro di vivere.
Non possiamo lasciare che siano i privati a decidere il destino di aziende come l’Alcoa o l’Ilva di Taranto. Devono passare o tornare in mano pubblica sotto il controllo dei lavoratori per poter garantire le produzioni di cui il paese ha bisogno, i necessari investimenti per mettere in sicurezza le lavorazioni e i territori, garantire alle lavoratrici e lavoratori il reddito nei periodi di ristrutturazione necessari per bonificare o riconvertire le produzioni.
E questo è ancor più vero per il Gruppo Fiat dove non si può lasciare nelle mani di Marchionne e degli Agnelli (ben sapendo che sono già in America) il futuro di interi territori, di centinaia di migliaia di lavoratori.
Dobbiamo avere il coraggio di rompere un tabù, di rivendicare l’espropriazione e il recupero della Fiat da parte dello Stato (nazionalizzazione), che vi ha gettato miliardi da sempre. La principale azienda del paese deve essere di proprietà pubblica e sociale, cioè sotto il controllo dei diretti interessati, lavoratori, tecnici, ingegneri, soggetti sociali e sindacali Solo così sarà possibile ridefinire una nuova missione produttiva, un nuovo piano dei trasporti che garantisca la mobilità collettiva e l’ambiente, preservando i posti di lavoro e i territori.
Una nuova politica industriale è possibile solo se torna la proprietà pubblica e tornano pubbliche anche le principale banche, come strumenti indispensabile per nuovi progetti produttivi e sociali.
Per far questo bisogna cambiare l’agenda del sindacato e del movimento dei lavoratori: subito una piattaforma rivendicativa di difesa del salario e dell’occupazione sostenuta da una uno sciopero generale, sviluppando un movimento di massa per una mobilitazione forte e prolungata capace di battere le resistenze padronali che saranno fortissime.
Ma questo presuppone anche una lotta durissima contro il governo delle banche e della finanza, per cacciare Monti e sconfiggere politicamente chi lo sostiene.
Contemporaneamente è necessario che il movimento dei lavoratori in Italia si unisca alla lunga lista degli scioperi generali che si stanno producendo nei paesi del sud dell’Europa contro le politiche di austerità, dalla Grecia, alla Spagna al Portogallo a Malta e Cipro e che avranno una scadenza unitaria il 14 novembre. La stessa CES (la Confederazione europea dei sindacati), del tutto passiva in questi anni, è costretta a “prendere atto della opposizione che cresce tra i lavoratori e i cittadini” e dichiarare per il 14 una giornata di mobilitazione europea.
Le scadenze italiane di lotta del 16 novembre tra cui quella della Fiom e del mondo della scuola devono collegarsi con le lotte europee. L’obbiettivo è di costruire una mobilitazione solidale e unitaria contro il padronato europeo e le sue istituzioni, per arrivare a un vero e proprio sciopero europeo della classe lavoratrice e di tutti i movimenti sociali.
Dobbiamo con la parola, le rivendicazioni e la lotta convincere milioni di cittadine e cittadini che per uscire dalla crisi occorre rifiutare le leggi del capitalismo basato su profitti e rendite, costruendo una alternativa in Europa che abbia al centro la cooperazione, la solidarietà, l’eguaglianza sociale, la democrazia, la difesa dell’ambiente in cui viviamo, la soddisfazione dei bisogni della stragrande maggioranza della popolazione.

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