lunedì 3 novembre 2008

Ascoltiamo l'onda... ha molto da insegnare

di Flavia D'Angeli

Cosa muove le centinaia di migliaia di studenti, insegnanti, genitori che, dalle elementari all’università stanno occupando la scena politica e mediatica del paese? Le elezioni di aprile, la vittoria schiacciante di Berlusconi e il suicidio delle sinistre (più o meno radicali) non illustravano una società passiva, convinta dai discorsi razzisti e securitari delle destre e lobotomizzata dai reality show? Lo straordinario movimento di queste settimane mostra, con la forza dei fatti, come la realtà sia più complessa di quanto vedono gli analisti dei giornali e i dirigenti dei partiti, anche e soprattutto di sinistra. Da queste prime settimane di mobilitazione ci sembra emergano una serie di elementi chiari e di indicazioni di lavoro per chi voglia ricostruire la forza e la credibilità di una sinistra anticapitalista nel vivo del protagonismo sociale.

Il primo di questi elementi è che il consenso sociale delle destre, che certo non è infranto e rimane molto pericoloso e presente anche in settori popolari, poggia però su basi fragili.

E’ anch’esso una sorta di bolla speculativa che può bucarsi da un momento all’altro di fronte all’incapacità di rispondere ai bisogni reali di gran parte della popolazione, in particolare di fronte alla crisi economica in arrivo di cui, di nuovo, lavoratori, giovani, precari… pagheranno il prezzo. La capacità del movimento studentesco di cogliere immediatamente questo nodo si vede nello slogan “noi la crisi non la paghiamo”, con il quale gli studenti esprimo nel modo più chiaro ed immediato possibile il sentimento che muove la protesta e che parla ad ampi strati della popolazione, non solo al mondo della scuola. In piazza oggi esplode la rabbia di una generazione “no future”, che dopo 15 anni di politiche liberiste, di precarizzazione del lavoro, di smantellamento dei servizi, di distruzione del diritto allo studio, di fronte alla crisi economica sa di non avere nulla da perdere e nulla da sperare dal futuro. Questo sentimento, che parla di una radicalità antisistemica non costruita politicamente ma vissuta a livello epidermico, può parlare anche fuori dalle scuole e dalle Università. E già parla alle centinaia di migliaia di maestre e insegnanti precari che si vedono chiudere ogni speranza di stabilizzazione. Parla ai ricercatori spremuti per decenni dai baroni e gettati via dall’oggi al domani. Parla anche ai genitori, che oltre al futuro dei propri bambini, vedono ogni giorno minata la certezza del loro presente, sui posti di lavoro, nei servizi che mancano, nei salari che non bastano mai.
Il secondo elemento di analisi sul quale riflettere è che questa capacità del movimento di mostrare la fragilità del consenso delle destre si accompagna alla scarsa credibilità della sinistra. Può sembrare paradossale eppure proprio quando la sinistra italiana è al momento più basso della propria storia, addirittura fuori dal Parlamento, esploda un movimento di grandi proporzioni capace di non farsi intimidire dalle provocazioni muscolari del premier e che, per la prima volta, tenta di autorganizzarsi concretamente e di costruire meccanismi reali di autorappresentazione. Rifiutando come non mai ogni strumentalizzazione, ma non per questo perdendo in radicalità e capacità di lotta. Sembra paradossale ma in realtà il dato aiuta a capire molte cose. La sensazione è quasi che si sia tolto un tappo, strappata una camicia di forza che sempre i gruppi maggioritari della sinistra hanno tentato di imporre ai movimenti, e che questa sorta di liberazione abbia dato spazio ad una nuova ed inedita, almeno per l’Italia, forma di autorganizzazione studentesca. In qualche modo si è passati dall’antipolitica, che pure muove (e non a torto) i sentimenti di molti giovani, all’autopolitica, alla consapevolezza, cioè, che i partiti della vecchia sinistra non servivano a sviluppare un movimento e a farlo vincere o che, peggio, sono stati in prima linea nella distruzione della scuola e dell’università pubblica. Ovviamente è una linea di tendenza e non un dato assoluto. E riguarda quella sinistra, più o meno radicale, priva di gambe sociali, sradicata socialmente e culturalmente e che si è limitata a “surfare” sui movimenti beneficiando elettoralmente della loro fiducia. Diverso è il discorso per una forza come il Pd, che invece qualche gamba sociale la possiede ancora, specialmente quando questa si chiama Cgil, che infatti sembra in grado di recuperare terreno e di offrirsi come sponda politica della protesta. E’ chiaro che il Pd bluffa: tra i responsabili principali della situazione attuale ci sono i vari Zecchino, Berlinguer o Mussi e nel partito di Veltroni l’università è quella dei baroni, dell’autonomia e dell’alleanza con Confindustria. Ma oggi si propone come soggetto di “lotta” con il quale fare i conti, sapendo che i conti si possono fare solo se si investe sull’autorappresentazione, la partecipazione, la mobilitazione diretta.

Gli studenti che riempiono le piazze si autorganizzano, si autorappresentano, e vogliono vincere. Per questo possono impattare altri settori sociali, a partire dal sindacato, senza delegare a nessuno ma chiedendo a tutti i soggetti in campo, in primis la Cgil, di fare la propria parte. Costringere il governo a fare marcia indietro allargando la lotta, costruendo, come hanno scritto e detto in questi giorni, uno sciopero generale “coordinato e continuativo”. Questi giovani non vogliono certo scimmiottare il ’68, erano appena nati durante la Pantera del 1990, hanno visto Genova in televisione, si ricordano però che i giovani francesi un anno fa hanno vinto perché si sono autorganizzati, hanno costruito una lotta comune con i lavoratori, e hanno bloccato il paese.


Una generazione che non ha nulla da perdere

"Io non ho paura" è il grido collettivo degli studenti di tutta Italia che continuano con la mobilitazione. A muovere le mosse del governo è invece la paura che il cristallo del consenso popolare possa incrinarsi rapidamente. Il Presidente del Consiglio, infatti, continua a insultare il movimento "in mano ai facinorosi" e i giornali colpevoli di sostenere i giovani. Segnali di un governo che pensava di continuare a passarla liscia - come gli è accaduto sui rifiuti o sulla manovra economica estiva - e che invece stavolta ha trovato il classico bambino in grado di strillare "il re è nudo". Basti guardare i dati di consenso scesi, secondo l'indagine del Corriere della Sera, dal 60 al 40% in poco più di un mese.

Non sappiamo quanto durerà questo movimento e dove arriverà. Lavoreremo per farlo vincere, ovviamente, per ottenere il ritiro del decreto Gelmini e dei provvedimenti sull'Università. Quello che vediamo è che un'irruzione improvvisa di soggettività ha modificato significativamente la politica e la società, che la cappa grigia che era emersa da due anni di governo Prodi e certificata alle elezioni di aprile mostra qualche squarcio.

Il movimento è fortemente politico anche se riesce ancora a stare oltre la politica che abbiamo finora conosciuto, oltre i riti e gli schemini della sinistra di palazzo - per quanto il Pd cerca e cercherà di attirarlo a sé e di intestarsene la rappresentazione politica. E' politico, e segna la nostra fase, perché soprattutto esprime il disagio di una generazione che non ha niente da perdere, ha un futuro segnato dalla precarietà e dal disagio, sbarrato da una destra oggi al potere che pensa solo al "piccolo mondo antico" - il maestro unico, ora anche la canzone sul Piave cantata in classe - e che non ha nessuna idea di futuro che non sia il filo spinato davanti alla porta di casa. Per questo non ha paura, l'ha finita tutta.

Se c'è una possibilità di rigenerare un discorso e una pratica anticapitaliste, l'apporto di questi studenti può essere decisivo. Per questo siamo lieti di essere immersi nel profondo delle occupazioni e delle mobilitazioni, di aver intuito da tempo che nel mondo studentesco qualcosa stava per accadere. Mentre il capitalismo "tossico" mostra per intero la sua crisi c'è qualcuno che ha il coraggio di affermare che non quella crisi non vuole pagarla. E' un discorso in linea con le necessità dell'oggi, con la necessità di resistere. Serviranno altre parole e altri discorsi per passare all'offensiva - e in particolare andrà articolato un ragionamento sull'unità con il movimento dei lavoratori e sull'autorganizzazione democratica del movimento.

La priorità dell'oggi è che la partecipazione cresca, il movimento si allarghi e si diffonda, le occupazioni si moltiplichino fino ad arrivare all'obiettivo fondamentale di veder ritirato il decreto e i provvedimenti del governo. Con determinazione e a mani alzate, senza paura.



visita il sito ATENEI IN RIVOLTA

Nessun commento: