
CHE FINE HA FATTO LA CRISI?
Nonostante i proclami rassicuranti di Berlusconi e dei governi europei, gli effetti della crisi economica si amplificano di giorni in giorni. L’Eurostat, l’ufficio europeo di statistica, ha annunciato che il tasso di disoccupazione è arrivato all'8,6%, contro l'8,4% di marzo; rispetto ad aprile 2008 ci sono oltre 3 milioni di disoccupati in più segnando così il più alto tasso di disoccupazione dal 1999. In valore assoluto quindi, ad aprile, le persone disoccupate erano 14,6 milioni nella zona dell'euro e 20,8 milioni nell'Unione europea. Rispetto a marzo, il numero dei senza lavoro è aumentato di 556.000 unità nell'Ue-27 e di 396.000 nella zona dell'euro. Rispetto allo stesso mese dell'anno precedente, i disoccupati sono invece aumentati di 4,653 milioni nell'Ue-27 e di 3,100 milioni nella zona dell'euro.
Tra gli Stati membri, i tassi più elevati sono quelli registrati in Spagna (18,1%), Lettonia (17,4%) e Lituania (16,8%), quelli più bassi sono stati rilevati in Olanda (3,0%) e in Austria (4,2%). In aprile 2009, il tasso di disoccupazione dei giovani con meno di 25 anni è stato del 18,5% nella zona dell'euro e del 18,7% nell'Ue-27. Un anno fa era del 14,7% in entrambe le zone; aumenta quindi del 4% il tasso di disoccupazione giovanile. Anche i dati Istat relativi all’occupazione nelle grandi imprese italiane non lasciano nessuna speranza: a marzo di quest’anno l’occupazione e' diminuita dell'1,2% rispetto a marzo 2008.
Inoltre, al netto della cig, il calo occupazionale e' stato del 3,4%, dato peggiore da gennaio 2001 e sempre a marzo, le ore di cassa integrazione utilizzate dalle grandi imprese sono state 35,3 ogni mille ore lavorate, vale a dire +370,7% rispetto allo stesso mese 2008.
L’Istat in questi giorni ha diffuso il suo ormai consueto Rapporto annuale sulla situazione del paese e tra i tanti dati allarmanti quello che preoccupa di più e il cosiddetto rischio di vulnerabilità economica, cioè l’impossibilità di far fronte a spese impreviste anche di piccola entità; in questo gruppo rientra il 20% della popolazione italiana ma chiaramente pesano anche le differenze territoriali: se al nord le persone a rischio sono in media il 9%, al sud si arriva al 30-35%. Sul fronte reddito di conseguenza la situazione è al limite della drammaticità: la percentuale di popolazione a basso reddito nel Paese si attesta al 18,4% ma l’incidenza risulta massima nel Mezzogiorno ed in particolare in Sicilia (41,2%), Campania (36,8%) e Calabria (36,4%).
Il reddito disponibile medio (con tutto quello che comporta in questo caso utilizzare dati medi) al nord è circa 20mila euro, mentre nel meridione scende a livelli da fame, intorno ai 13mila euro. La disoccupazione continua a crescere: per la prima volta dal 1995, infatti, la crescita degli occupati nel 2008 è risultata inferiore a quella dei disoccupati, saliti di 186 mila unità sempre rispetto all’anno prima. I dati inoltre confermano, se ancora ce ne fosse bisogno, che a far crescere negli anni passati l’occupazione non è stato il lavoro definito standard (tempo indeterminato) ma i cosiddetti lavori atipici e questo ha fatto si che i dati sull’occupazioni dell’ultimo ventennio sono stati completamente falsati. L’Istat stesso afferma che “se la contrazione del lavoro temporaneo registrata in chiusura d’anno dovesse protrarsi, ci troveremmo di fronte a una vasta platea di soggetti esposti a una condizione di vulnerabilità”. Ma la disoccupazione tocca nuove figure e strati sociali. Un aspetto da non sottovalutare è la diminuzione del cosiddetto “tasso di occupazione dei padri” che passa dall’83,3% del 2007 all’82,7% del 2008. Questo dato quindi è in linea con l’identikit del “nuovo disoccupato” che secondo l’Istat è un uomo tra i 35 e i 54 anni, con titolo di studio inferiore alla laurea e nella maggior parte dei casi ha perso il lavoro nell’industria e si tratta di un padre di famiglia. I dati toscani sono sostanzialmente in linea con quelli nazionali ed europee. Le previsioni dell’Irpet, Istituto Regionale per la Programmazione Economica, parlano chiaro: una perdita di oltre 40 mila posti di lavoro nel corso del 2009, di 9800 occupati nel 2010 e 8900 per l’anno successivo. Inoltre, nel primo quadrimestre la cassa integrazione ha raggiunto complessivamente 4 milioni di ore, con un aumento rispetto allo stesso periodo del 2008 del 404,2% sul fronte della Cig ordinaria e del 101,8% per quella straordinaria. Rispetto allo stesso periodo del 2008, nei primi tre mesi dell’anno, le iscrizioni nelle liste di mobilità sono passate da 4.031 a 8.130, cioè con un aumento di circa il 100%. Inoltre, nel primo trimestre del 2009 i centri per l’impiego toscani segnalano oltre 36 mila assunzioni in meno rispetto ai primi tre mesi del 2008. L’osservatorio ha rilevato che solo nel mese di marzo la cassa integrazione e’ aumentata in dell’85%. Percentuale dovuta ad un incremento della gestione ordinaria pari al 54% e da una crescita di quella straordinaria del 183%; gli incrementi sono stati registrati in tutti i principali settori economici strategici. Sempre a marzo e’ stato registrato il picco massimo nella diminuzione della domanda di lavoro (-22%).
Nonostante questi dati allarmanti la campagna elettorale, nazionale e locale, sembra interessata ad altri temi, più di natura scandalistica con appelli moraleggianti provenienti indistintamente da uno schieramento e dall’altro quasi a voler difendere una verginità politica ormai persa da anni. Per uscire da questa situazione drammatica, Partito Democratico e una parte della sinistra cosiddetta radicale avanzano ipotesi e ricette che, nella migliore delle ipotesi, assomigliano vagamente a soluzione neo-keynesiane. Noi crediamo invece che non esistono alternative interne al sistema; queste soluzioni, per quanto in grado di limitare i danni (e comunque questo va dimostrato), non sono in grado di superare la crisi stessa.
Allora, di fronte a questa crisi è oggi indispensabile una molteplicità di obiettivi intermedi - quella che definiamo logica di obiettivi transitori - che affrontino nell’immediato l'emergenza ed al contempo operino per un'alternativa di società. A tal proposito crediamo sia necessario:
- una vertenza generale per la difesa dei posti di lavoro, dei salari, delle pensioni, dei servizi sociali e delle garanzie democratiche con l’innalzamento dei minimi salari a 1300 euro, il salario sociale ed il minimo previdenziale a 1000 euro, la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, l’abolizione della legge 30, la reintroduzione della scala mobile, il diritto alla casa.
- Alla domanda "chi paga?" la nostra risposta è chiara: paga chi ha provocato la crisi e cioè le banche, le imprese, il grande capitale. Per questo proponiamo l’introduzione di una tassa patrimoniale, della tassazione sulle rendite finanziarie, l'eliminazione degli aiuti di Stato alle imprese (come il cuneo fiscale). Proponiamo altresì una massiccia ridistribuzione del reddito dal capitale al lavoro e un piano reale e concreto di diritti e di poteri per il lavoratore e le lavoratrici salariate.
- La nazionalizzazione di banche e imprese è una misura ormai definita indispensabile anche dagli stessi capitalisti e da quasi tutti i governi. Ma noi ci chiediamo: che tipo di nazionalizzazione? Noi vogliamo una reale nazionalizzazione messa in atto per tutte quelle imprese che non garantiscono il lavoro e il salario, realizzata sotto controllo operaio e popolare e con l'obiettivo non di salvaguardare i profitti ma di innalzare le condizioni di vita delle masse popolari.
In questo senso la nazionalizzazione dei centri produttivi nevralgici del Paese non può essere dissociata da un piano di sviluppo ecologicamente compatibile e democraticamente determinato. A tal proposito gli Stati generali del lavoro e dell'ambiente potrebbero rappresentare un primo passo per definire un piano collettivo, democratico e orientato socialmente.
- Un intervento pubblico massiccio, che costituisce una risposta possibile alla crisi, non può avvenire che nel pieno rispetto di compatibilità ecologiche rigidissime. Non serve la Tav o l'energia nucleare, ma le energie rinnovabili e un piano di riassesto idro-geologico del territorio; non servono i rigassificatori ma la riqualificazione ambientale di aree dismesse; non gli inceneritori ma la raccolta differenziata. - Una riduzione drastica delle spese militari, con il ritiro immediato delle truppe da tutti i fronti di guerra e la riconversione civile dell'industria bellica.
Nonostante i proclami rassicuranti di Berlusconi e dei governi europei, gli effetti della crisi economica si amplificano di giorni in giorni. L’Eurostat, l’ufficio europeo di statistica, ha annunciato che il tasso di disoccupazione è arrivato all'8,6%, contro l'8,4% di marzo; rispetto ad aprile 2008 ci sono oltre 3 milioni di disoccupati in più segnando così il più alto tasso di disoccupazione dal 1999. In valore assoluto quindi, ad aprile, le persone disoccupate erano 14,6 milioni nella zona dell'euro e 20,8 milioni nell'Unione europea. Rispetto a marzo, il numero dei senza lavoro è aumentato di 556.000 unità nell'Ue-27 e di 396.000 nella zona dell'euro. Rispetto allo stesso mese dell'anno precedente, i disoccupati sono invece aumentati di 4,653 milioni nell'Ue-27 e di 3,100 milioni nella zona dell'euro.
Tra gli Stati membri, i tassi più elevati sono quelli registrati in Spagna (18,1%), Lettonia (17,4%) e Lituania (16,8%), quelli più bassi sono stati rilevati in Olanda (3,0%) e in Austria (4,2%). In aprile 2009, il tasso di disoccupazione dei giovani con meno di 25 anni è stato del 18,5% nella zona dell'euro e del 18,7% nell'Ue-27. Un anno fa era del 14,7% in entrambe le zone; aumenta quindi del 4% il tasso di disoccupazione giovanile. Anche i dati Istat relativi all’occupazione nelle grandi imprese italiane non lasciano nessuna speranza: a marzo di quest’anno l’occupazione e' diminuita dell'1,2% rispetto a marzo 2008.
Inoltre, al netto della cig, il calo occupazionale e' stato del 3,4%, dato peggiore da gennaio 2001 e sempre a marzo, le ore di cassa integrazione utilizzate dalle grandi imprese sono state 35,3 ogni mille ore lavorate, vale a dire +370,7% rispetto allo stesso mese 2008.
L’Istat in questi giorni ha diffuso il suo ormai consueto Rapporto annuale sulla situazione del paese e tra i tanti dati allarmanti quello che preoccupa di più e il cosiddetto rischio di vulnerabilità economica, cioè l’impossibilità di far fronte a spese impreviste anche di piccola entità; in questo gruppo rientra il 20% della popolazione italiana ma chiaramente pesano anche le differenze territoriali: se al nord le persone a rischio sono in media il 9%, al sud si arriva al 30-35%. Sul fronte reddito di conseguenza la situazione è al limite della drammaticità: la percentuale di popolazione a basso reddito nel Paese si attesta al 18,4% ma l’incidenza risulta massima nel Mezzogiorno ed in particolare in Sicilia (41,2%), Campania (36,8%) e Calabria (36,4%).
Il reddito disponibile medio (con tutto quello che comporta in questo caso utilizzare dati medi) al nord è circa 20mila euro, mentre nel meridione scende a livelli da fame, intorno ai 13mila euro. La disoccupazione continua a crescere: per la prima volta dal 1995, infatti, la crescita degli occupati nel 2008 è risultata inferiore a quella dei disoccupati, saliti di 186 mila unità sempre rispetto all’anno prima. I dati inoltre confermano, se ancora ce ne fosse bisogno, che a far crescere negli anni passati l’occupazione non è stato il lavoro definito standard (tempo indeterminato) ma i cosiddetti lavori atipici e questo ha fatto si che i dati sull’occupazioni dell’ultimo ventennio sono stati completamente falsati. L’Istat stesso afferma che “se la contrazione del lavoro temporaneo registrata in chiusura d’anno dovesse protrarsi, ci troveremmo di fronte a una vasta platea di soggetti esposti a una condizione di vulnerabilità”. Ma la disoccupazione tocca nuove figure e strati sociali. Un aspetto da non sottovalutare è la diminuzione del cosiddetto “tasso di occupazione dei padri” che passa dall’83,3% del 2007 all’82,7% del 2008. Questo dato quindi è in linea con l’identikit del “nuovo disoccupato” che secondo l’Istat è un uomo tra i 35 e i 54 anni, con titolo di studio inferiore alla laurea e nella maggior parte dei casi ha perso il lavoro nell’industria e si tratta di un padre di famiglia. I dati toscani sono sostanzialmente in linea con quelli nazionali ed europee. Le previsioni dell’Irpet, Istituto Regionale per la Programmazione Economica, parlano chiaro: una perdita di oltre 40 mila posti di lavoro nel corso del 2009, di 9800 occupati nel 2010 e 8900 per l’anno successivo. Inoltre, nel primo quadrimestre la cassa integrazione ha raggiunto complessivamente 4 milioni di ore, con un aumento rispetto allo stesso periodo del 2008 del 404,2% sul fronte della Cig ordinaria e del 101,8% per quella straordinaria. Rispetto allo stesso periodo del 2008, nei primi tre mesi dell’anno, le iscrizioni nelle liste di mobilità sono passate da 4.031 a 8.130, cioè con un aumento di circa il 100%. Inoltre, nel primo trimestre del 2009 i centri per l’impiego toscani segnalano oltre 36 mila assunzioni in meno rispetto ai primi tre mesi del 2008. L’osservatorio ha rilevato che solo nel mese di marzo la cassa integrazione e’ aumentata in dell’85%. Percentuale dovuta ad un incremento della gestione ordinaria pari al 54% e da una crescita di quella straordinaria del 183%; gli incrementi sono stati registrati in tutti i principali settori economici strategici. Sempre a marzo e’ stato registrato il picco massimo nella diminuzione della domanda di lavoro (-22%).
Nonostante questi dati allarmanti la campagna elettorale, nazionale e locale, sembra interessata ad altri temi, più di natura scandalistica con appelli moraleggianti provenienti indistintamente da uno schieramento e dall’altro quasi a voler difendere una verginità politica ormai persa da anni. Per uscire da questa situazione drammatica, Partito Democratico e una parte della sinistra cosiddetta radicale avanzano ipotesi e ricette che, nella migliore delle ipotesi, assomigliano vagamente a soluzione neo-keynesiane. Noi crediamo invece che non esistono alternative interne al sistema; queste soluzioni, per quanto in grado di limitare i danni (e comunque questo va dimostrato), non sono in grado di superare la crisi stessa.
Allora, di fronte a questa crisi è oggi indispensabile una molteplicità di obiettivi intermedi - quella che definiamo logica di obiettivi transitori - che affrontino nell’immediato l'emergenza ed al contempo operino per un'alternativa di società. A tal proposito crediamo sia necessario:
- una vertenza generale per la difesa dei posti di lavoro, dei salari, delle pensioni, dei servizi sociali e delle garanzie democratiche con l’innalzamento dei minimi salari a 1300 euro, il salario sociale ed il minimo previdenziale a 1000 euro, la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, l’abolizione della legge 30, la reintroduzione della scala mobile, il diritto alla casa.
- Alla domanda "chi paga?" la nostra risposta è chiara: paga chi ha provocato la crisi e cioè le banche, le imprese, il grande capitale. Per questo proponiamo l’introduzione di una tassa patrimoniale, della tassazione sulle rendite finanziarie, l'eliminazione degli aiuti di Stato alle imprese (come il cuneo fiscale). Proponiamo altresì una massiccia ridistribuzione del reddito dal capitale al lavoro e un piano reale e concreto di diritti e di poteri per il lavoratore e le lavoratrici salariate.
- La nazionalizzazione di banche e imprese è una misura ormai definita indispensabile anche dagli stessi capitalisti e da quasi tutti i governi. Ma noi ci chiediamo: che tipo di nazionalizzazione? Noi vogliamo una reale nazionalizzazione messa in atto per tutte quelle imprese che non garantiscono il lavoro e il salario, realizzata sotto controllo operaio e popolare e con l'obiettivo non di salvaguardare i profitti ma di innalzare le condizioni di vita delle masse popolari.
In questo senso la nazionalizzazione dei centri produttivi nevralgici del Paese non può essere dissociata da un piano di sviluppo ecologicamente compatibile e democraticamente determinato. A tal proposito gli Stati generali del lavoro e dell'ambiente potrebbero rappresentare un primo passo per definire un piano collettivo, democratico e orientato socialmente.
- Un intervento pubblico massiccio, che costituisce una risposta possibile alla crisi, non può avvenire che nel pieno rispetto di compatibilità ecologiche rigidissime. Non serve la Tav o l'energia nucleare, ma le energie rinnovabili e un piano di riassesto idro-geologico del territorio; non servono i rigassificatori ma la riqualificazione ambientale di aree dismesse; non gli inceneritori ma la raccolta differenziata. - Una riduzione drastica delle spese militari, con il ritiro immediato delle truppe da tutti i fronti di guerra e la riconversione civile dell'industria bellica.
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